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| Emerald Necklace, Boston |
“ Mettere a sistema spazi urbani”, “sistema dei parchi”,
“landscape architecture”, “planning” …
A volte capita di trovarsi accidentalmente in una “rissa” di
parolai, cadendo alla mercé di bagagli di conoscenza infimi che vantano di
“sapere” ciò di cui stanno parlando e che si arrogano il diritto non solo di
sminuire l’intelligenza del malcapitato (che non padroneggia ancora la finta
comprensione di quel linguaggio per cui non ha modo di poter costruire inutili
e spaventevoli tautologie adatte a competere con quelle che gli vengono sparate
contro) ma con presunzione lo invitano ad informarsi su ciò da cui loro
attingono, ovvero un irrisorio bagaglio di sapere, con il risultato di tenere al
sicuro la loro posizione di “superiorità” intellettuale.
Fortunatamente, altre volte, capita di imbattersi per vie
traverse in materiali e bagagli di conoscenza che hanno le potenzialità per
distruggere le finzioni dei parolai, o per lo meno di sostanziare il linguaggio
da loro usato, consentendo ai malcapitati
di discernere un minimo i contenuti del discorso.
In questo caso oggetto della rissa è la materia urbanistica.
I malcapitati, che si trasformeranno forse un giorno nei loro carnefici ex
cathedra, sono gli studenti delle facoltà di architettura. Il materiale, da
prendere in esame perché sia possibile anche che questo non succeda, è tratto
dal libro “La Città Americana dalla guerra civile al New Deal”, che raccoglie
quattro saggi di Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co, Mario Manieri-Elia, Manfredo
Tafuri.
Ebbene, le espressioni inizialmente riportate, che è capitato più volte di sentire in queste
“risse”, si trovano nel saggio di Dal Co, al momento in cui parla di Frederick
Law Olmsted.
Dal Co nel saggio sta parlando di una certa cultura
progressista americana che a partire dalla seconda metà dell’ottocento sviluppa
una strategia di intervento a scala urbana che passa tramite la progettazione
di parchi pubblici.
La città americana dell’ottocento è sostanzialmente un’aggregazione
di edificato frutto della speculazione edilizia legata alla presenza di nodi
infrastrutturali attraverso cui la merce ha modo di essere messa in moto. Rimane
del tutto assente o marginale la preoccupazione per una qualità minima dello
spazio urbano. I pochi tentativi di intervento vengono portati avanti solo in alcune
città dai cosiddetti “bosses” , tra l’altro con il rischio costante della
bancarotta.
Olmsted dunque si scontra con questo scenario della città
americana.
Le prime occasioni di rilievo sono la partecipazione alla progettazione
del Central Park, negli anni 50
dell’ottocento, e del Brooklyn Park a Prospect Hill, negli anni 60-70, entrambi
grandi parchi urbani inseriti nel tessuto edilizio di New York.
Dal Co descrive questi due interventi: il primo, Central Park, come la prima
attuazione dell’idea di ricomporre la distanza tra la città della speculazione
e la natura, portando un frammento di
natura (o meglio di landscape progettato secondo i canoni del “romantic
planning” già sperimentato per i cimiteri rurali all’esterno della città)
all’interno della città, dentro la griglia di Manhattan; il secondo, Brooklyn
Park, come un frammento di natura progettato che, oltre a ciò, assume con la
sua forma, la sua dimensione, i suoi bordi, una valenza di “vincolo urbanistico”
(cit. Dal Co): il progetto di questo parco è affrontato mirando a riorganizzare
con esso la struttura viaria e con l’idea dei progettisti di poter finanziare
l’operazione con l’accrescimento del valore degli immobili dell’area, dato
l’aumento della qualità urbana.
Ne risulta un primo tema: il parco è un fatto urbano che per
la sua importanza ed estensione potrebbe essere usato come operazione di
risistemazione urbanistica e, a seconda della dimensione che viene ad assumere,
come operazione di pianificazione a livello non solo urbano ma addirittura
territoriale.
Questa teoria, che potrebbe essere usata tale e quale per
spiegare i masterplan a scala urbana-territoriale dei più illustri studi di
architettura a noi vicini (tipicamente la tavola con la città rappresentata in
scala da 1:10000 a 1:1000 con la super campitura di verde che attraversa il
tessuto urbano con alberi, percorsi e volumi al suo interno), viene messa sul
banco di prova nelle sue più estreme conseguenze già da Olmsted nell’ottocento.
Dal Co descrive, oltre i progetti dei parchi di New York, un
altro progetto assai interessante per la sua scala, conosciuto oggi come
Emerald Necklace, a Boston. Olmsted diviene consulente nel 1875 della Park
Commission di Boston istituita dal consiglio cittadino con l’idea di formulare
una proposta per un complesso urbano di parchi. L’intuizione di Olmsted fu di
utilizzare un’arteria del sistema
idrogeologico del territorio su cui è situato Boston, il Back Bay Fens, come “un
nodo urbano” (cit. Dal Co), riconoscendo questa struttura del territorio come
parte del tessuto urbano, determinandone
l’organizzazione della maglia.
Dunque emerge un secondo tema (anche questo tema come il
primo è oggetto di disputa nelle “risse” di cui abbiamo parlato sopra): la
considerazione delle strutture geologiche territoriali non come cesure nella
città ma come parte della forma urbana ad essa strettamente connessa.
Giunto a questa conclusione il piano di Olmsted propone di sviluppare una serie di parchi
strettamente collegati a partire da questa struttura d’acqua preesistente sino
ad inserirsi in profondità nel tessuto urbano ricollegando inoltre episodi
urbani rilevanti come il cimitero di Forest Hills. Ne risulta un “sistema di
parchi” (cit. Dal Co), un unica Parkway a scala urbana-territoriale. Quest’immagine
rimane talmente impressa nella storia del planning ed è così feconda da essere
oggi costantemente riproposta nei progetti e nei concorsi di pianificazione
urbanistica come “parchi lineari”, “parchi fluviali”, “waterfront” ecc. , in
tutte le forme e declinazioni.
Scrive Dal Co: «A Boston il sistema dei parchi è la
prima espressione dell’esigenza di formulare un piano urbanistico complessivo,
e di una cultura che ha ormai superato la fase denunciatoria e che va
arrogandosi la prerogativa di offrire realistiche ipotesi per la
ristrutturazione urbana» (pp.184); Olmsted mostra al mondo un modo di riservarsi, nella
feroce competizione della speculazione edilizia della città, uno spazio di
azione (la progettazione del parco) che con la sua potenziale espandibilità a
livello territoriale può offrire realisticamente una prospettiva di
miglioramento della qualità urbana.
E ancora, sui principi del planning derivati da Olmsted, Dal
Co dice: «Perseguendo
e insegnando il rispetto delle grandi virtù democratiche, tra le quali
primeggia l’amore e la considerazione della natura, il planning fa sì che la
natura non sia violentata dall’ambiente umano, ma che vi entri organicamente
come elemento costitutivo» (pp.185); la carica ideologica, che fornisce al parco tanto “appeal”
sulla società da lasciare che questo venga espanso su scala territoriale sino a
diventare occasione di riforma urbana, è data da un presupposto culturale che
ripone nel rapporto dell’uomo con la natura il fondamento della moralità, per
cui qualsiasi rottura di questo rapporto è da considerarsi immorale, una
violenza. Dal Co intende probabilmente riferirsi in proposito a quella cultura
americana, di cui Olmsted faceva parte, che affonda le sue radici nel
trascendentalismo, al Golden Day di cui parla all’inizio del saggio, ma viene
da chiedersi se questa cultura, nel tempo, non abbia in qualche modo superato i
confini dell’America, se si pensa al significato attuale e alle conseguenze
(dagli esiti a volte caricaturali a volte estremamente seri) di ciò che chiamiamo “ecosostenibilità”.
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| Emerald Necklace, "Plan of portion of Park System from Common to Franklyn Park" , Olmsted e Eliot, Landscape Architects, 1894, Boston |
In conclusione, per esprimere ciò che non può essere detto ma solo
capito attraverso l’osservazione attenta sul perché Frederick Law Olmsted
dovrebbe essere il primo riferimento sul quale i malcapitati nella “rissa” di discorsi
da “urbanisti esperti” dovrebbero essere
indirizzati per comprendere il linguaggio del planning e le espressioni
riportate in apertura dell’articolo (da conoscere prima delle migliaia di
masterplan per tutti i gusti che si possono trovare su Europaconcorsi e prima
di progetti di concorso illustri come quello della Grand Paris), si rimanda
alla visione delle carte dei piani di cui detto e in particolare della carta
dell’Emerald Necklace di Boston. Si
invita inoltre a porsi delle sane domande a considerazione del fatto che sia proprio
questa strategia d’intervento, elaborata a fine ottocento per la città
americana del tempo, ad essere riproposta in molti masterplan attuali per le
città del nostro tempo americane e non.
NOTA:
si rimanda, riguardo l' Emerald Necklace di Boston al seguente link:
riguardo la fonte bibliografica dell'articolo si rimanda al libro
| La città americana dalla guerra civile al New Deal, Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co, Mario Manieri-Elia, Manfredo Tafuri, 1973, Roma | |












