Questo articolo non avrà niente di scientifico. Voglio
invece parlare dell’aspetto terapeutico di questo mestiere.
Come ogni attività dell’uomo, ci sono due modi di
praticarla: con amore o senza. Nella seconda categoria rientrano noia, dovere, costrizione
etc.. Quando facciamo buona
progettazione, se siamo coinvolti in quello che stiamo facendo in quel momento,
ne risente positivamente la nostro spirito, nello stesso tempo la mente e la
psiche. È un segnale che bisogna cogliere al volo. Perché abbiamo bisogno di
questo “feedback” sensoriale per capire che direzione stiamo prendendo, così
come il medico si basa sulle reazioni positive del paziente per capire che gli
sta dando la giusta cura. E qui veniamo al secondo punto: come questo senso di
benessere si può trasmettere da chi progetta a chi guarda; dall’architetto all’utente.
Io vivo nel secolo dell’informatica, dove i valori (se si
può parlare ancora di valori, perché forse sarebbe più corretto dire priorità)
si sono invertiti. Dove cioè che è armonioso è sinonimo di noioso, dove
sorprendere è la parola d’ordine, dove la stravaganza della forma determina il
successo sociale. Ma se l’architettura ha in sé il germe dell’eternità (che si
manifesta quando essa diventa rovina)
allora bisogna difendere costantemente la propria alternativa a questa visione
delle cose. A patto di averla, certamente: oggi ci vuole molto più fegato a
difendere un cubo perfetto piuttosto che una forma affascinante ed
autoreferenziale; la situazione si è invertita nell’arco di nemmeno 2 secoli. E
non credo sia una coincidenza il fatto che a questa attitudine corrisponda una pressoché
inesistente attività teorica da parte dei più tra gli architetti.
“L’Architettura nasce dai bisogni reali, ma essa va al di
là di essi; se vuoi scoprirla, guarda le rovine.”
1923: l’architettura abbandona definitivamente
l’ordine.
Quando abbandonerà allora il disordine?
Chi oserà costruire alternative al pensiero dominante
del nostro tempo? A chi toccherà aprire la strada verso la nuova
Architettura? Chi avrà la volontà di
proporre nuovamente luce e ombra, pieno
e vuoto e il rapporto di tutto questo? Ma sopratutto chi oserà dire (e fare): Armonia?
Nessun commento:
Posta un commento